Mercoledì a Villasor
Era come avevo prefigurato nel mio ultimo 👉 post: mi ritrovavo, nel cuore di un Mercoledì Santo carico di promesse e misteri, a percorrere le strade di Villasor, quella “isola da scoprire” che, con le sue tradizioni dense di significati non scritti, attendeva di essere narrata attraverso il mio obiettivo.
Chi mi segue con assiduità nel mio spazio virtuale conosce la profondità della mia ricerca: non mi accontento di immortalare momenti; aspiro a scavare oltre la superficie, a catturare l’essenza delle tradizioni in un modo che mi è proprio.
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Il racconto
Non è raro che ci si fermi ad ammirare una manciata di scatti che ritraggono una festa popolare o una processione religiosa, ma il mio desiderio è quello di trascendere queste immagini isolate, di rendere tangibile sul mio blog quello che sfugge alla rapida occhiata: documentare la vita che pulsa in Villasor, terra al mio primo approccio, di cui conoscevo poco al di là delle cronache altrui diffuse su blog e piattaforme social.
Il sole era già in procinto di ritirarsi quando, alle 17:40, varcai la soglia della Chiesa di San Biagio. Lì, in quell’atmosfera sospesa, Don Salvatore Collu declamava parole di fede a una platea di fedeli assortiti – alcuni seduti in religioso silenzio, altri in piedi, tutti uniti in un ascolto riverente.
La mia prima constatazione fu quanto la chiesa fosse variegata: accanto a coetanei si mescolavano giovani energici e adolescenti curiosi, smontando l’idea preconfezionata di cerimonie esclusivamente attrattive per le generazioni più mature.
Mi sentivo un intruso, un “alieno con gli occhiali verdi ” giunto da Assemini, eppure, in qualche modo, accettato e incluso in quell’intima comunità.
Io e la mia inseparabile Fujifilm X-T5 eravamo pronti a immergerci nel profondo.
Quando la processione ebbe inizio, fui colpito da un silenzio quasi sacro, un vuoto sonoro in cui la sola voce del sacerdote trovava spazio, magnificata da due altoparlanti di sorprendente qualità.
Era un annuncio, una promessa di un’esperienza unica, che mi affrettai a condividere con voi.
E così, dalla sacralità della chiesa, ci avviammo, fedeli e curiosi, in una processione che, per un borgo di dimensioni così contenute, rivelava un’incredibile partecipazione. L’organizzazione era impeccabile, grazie alla presenza discreta ma efficace di forze dell’ordine e volontari, un cordone protettivo che incanalava la devozione popolare.
Il percorso si snodava in un silenzio interrotto solo dalle invocazioni dei partecipanti, una dimensione di fede pura che mi vedeva partecipe e, allo stesso tempo, testimone privilegiato.
Tra i pochi fotografi {2🙈} presenti, sentivo il peso della responsabilità nel catturare l’intensità di quei momenti senza infrangerne la sacralità. Ma chi mi conosce sa che la passione per la fotografia non conosce ostacoli.
Armato di un 27mm, lente che adoro per la capacità di racchiudere emozioni e contesti in un singolo scatto, iniziai a documentare la processione. Per la prima volta quest’anno, sperimentai anche l’uso della Insta360 montata sulla mia Fuji, alla ricerca di nuove prospettive narrative.
Le prime tappe del cammino si svolgevano lungo le strade strette attigue alla chiesa, prima di avventurarsi in un itinerario più ampio e, per me, ineditamente suggestivo. Le luci soffuse dei lumini, disseminati lungo il percorso, iniziavano a brillare, offuscando quasi i lampioni cittadini, in un gioco di luci e ombre che rendeva l’atmosfera ancora più intima e coinvolgente.
Colpito dalla presenza di anziani e giovani che attendevano il passaggio della processione, notavo come, in quell’occasione, la comunità sembrasse riflettere sulla famiglia, sull’importanza dei legami e, in particolare, sul destino dei figli meno fortunati. Era un messaggio potente, che toccava corde profonde anche nel mio cuore.
La mia missione, attraverso il progetto “Le fotografie sono semplici ricordi“, non si limita alla semplice documentazione visiva; è un tentativo di immergersi completamente nell’esperienza, di ascoltare e di comprendere, per restituire attraverso le immagini qualcosa di più profondo e significativo.
La notte avvolgeva ormai Villasor, e le sfide tecniche si moltiplicavano. Tuttavia, come ho spesso sottolineato, preferisco portare a casa un’immagine imperfetta ma carica di significato piuttosto che il rimpianto di non aver provato.
Così, incrementai l’ISO della mia macchina fotografica e proseguì la mia esplorazione, deciso a catturare l’essenza di questa serata indimenticabile.
E mentre la processione giungeva al termine, Villasor si preparava a svelare ancora una sorpresa, un invito inaspettato che prometteva nuove avventure fotografiche.
Il viaggio, dunque, era tutt’altro che concluso: nuove storie attendevano di essere raccontate, nuovi frammenti di vita da immortalare e condividere.
Restate sintonizzati, perché ogni angolo di questa “isola da scoprire” nasconde racconti inaspettati, storie di vita e tradizioni che solo l’obiettivo di una fotocamera curiosa può rivelare.